Nel rigoglio della sua produzione narrativa raramente Andrea Camilleri ha toccato il tema della mafia. Ma quando i pizzini di Provenzano sono stati resi pubblici è stato subito chiaro che, per la loro stessa natura, quei testi costituivano un’opportunità di riflessione imperdibile. E così è stato. Ne è venuto fuori un libro di forte sapore narrativo e di amara onestà, una sorta di dizionario che, voce per voce, ci svela l’alfabeto con cui il boss dei boss ha parlato per più di quarant’anni alla sua organizzazione, e ne smonta gli ingranaggi per mostrarci che sotto la superficie di parole apparentemente comuni può celarsi la feroce banalità del male.